CIRCULAR ECONOMY

Modelli di agricoltura sostenibile per un’economia circolare



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Le bioplastiche derivanti dalla valorizzazione degli scarti e dalle biomasse agroalimentari sono esempi concreti di innovazione circolare. L’Italia si distingue come pioniere in questo percorso, ma è fondamentale mantenere lo slancio per ridurre rifiuti ed emissioni, e ottenere vantaggi economici a lungo termine

Aggiornato il 23 ago 2024

Claudia Costa

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L’agricoltura è un terreno fertile per l’economia circolare: dal settore primario arrivano reflui urbani, zootecnici, scarti alimentari e delle colture, una miniera rinnovabile per il recupero di elementi che giocano un ruolo centrale per il suolo come fosforo, azoto e potassio, ma anche biogas e ammendanti (“qualsiasi sostanza, naturale o sintetica, minerale od organica, capace di modificare e migliorare le proprietà e le caratteristiche chimiche, fisiche, biologiche e meccaniche di un terreno”). Utilizzando gli scarti agricoli è possibile: ridurre le emissioni di CO2 causate dalla produzione di fertilizzanti minerali e produrre ammendanti e combustibili da fonti rinnovabili.

Ma non finisce qui perché l’utilizzo sostenibile delle risorse agricole e il riciclo dei materiali possono portare a nuove opportunità economiche per le aree rurali. Attraverso casi concreti, come la produzione di bioplastiche da scarti agricoli e la valorizzazione del siero di latte per creare biopolimeri, si dimostra come l’adozione di pratiche eco-friendly e il passaggio a modelli circolari possano contribuire alla riduzione dell’impatto ambientale e alla creazione di nuove catene di valore. In questo scenario, la cooperazione tra industria, ricerca e settore agricolo è fondamentale per favorire l’innovazione e lo sviluppo sostenibile nelle comunità rurali.

Agricoltura, l’innovazione tecnologica incontra il Green Deal

È su questi temi che si è concentrata l’attenzione del Convegno “Buone pratiche green in agricoltura. Innovazioni nell’area metropolitana milanese” organizzato dal Consorzio Italbiotec, ente italiano no profit per lo sviluppo di biotecnologie industriali che eroga servizi di formazione, ricerca e sviluppo d’impresa, in collaborazione con Lombardy Green Chemistry Association, cluster tecnologico di riferimento regionale per lo sviluppo della bioeconomia e dell’economia circolare a partire dall’utilizzo sostenibile di materie prime rinnovabili, e Regione Lombardia, area di spicco per lo sviluppo di nuove filiere bio-based.

Un evento volto a promuovere il dialogo e la cooperazione tra le realtà industriali bio-based e i Distretti Agricoli presenti nell’Area Metropolitana di Milano, con lo scopo di fornire alle realtà rurali nuove opportunità di economia circolare attraverso l’uso innovativo di biomasse, coordinando gli interessi di accademici, ricercatori, stakeholders e policymakers operanti nel settore delle biotecnologie e delle bioenergie.

Prima di addentrarci nel vivo degli interventi che hanno animato l’evento, è sicuramente utile ribadire il significato di due temi centrali: quello di agricoltura sostenibile e di economia circolare. Due temi questi che contribuiscono a collocare il percorso dell’innovazione tecnologica per l’agricoltura nel solco di uno sviluppo coerente con le logiche del Green Deal e di estensione del perimetro delle attività e delle progettualità legate all’economia circolare.

Il nesso tra agricoltura sostenibile ed economia circolare

L’agricoltura sostenibile è quella che, nello sfruttamento delle risorse e nelle tecniche di produzione, si propone di non alterare l’equilibrio ambientale e quindi si presenta come rispettosa dell’ambiente e socialmente giusta, contribuendo a migliorare la qualità della vita sia degli agricoltori che dell’intera società. Chi si occupa di agricoltura sostenibile, privilegia pertanto quei processi naturali che consentono di preservare la “risorsa ambiente”, evitando il ricorso a pratiche dannose per il suolo (come le lavorazioni intensive) e a sostanze chimiche (pesticidi, ormoni, ecc.) e utilizzando fonti energetiche rinnovabili.

La stessa filosofia è condivisa dal modello di produzione e consumo noto come “economia circolare” o green economy che si basa sui principi di condivisione, prestito, riutilizzo, riparazione, ricondizionamento e riciclo dei materiali e prodotti esistenti il più a lungo possibile. In questo modo si estende il ciclo di vita dei prodotti, contribuendo a ridurre i rifiuti al minimo. Una volta che il prodotto ha terminato la sua funzione, i materiali di cui è composto vengono infatti reintrodotti, laddove possibile, nel ciclo economico. Così si possono continuamente riutilizzare all’interno del ciclo produttivo generando ulteriore valore.

I principi dell’economia circolare contrastano con il tradizionale modello economico lineare, fondato invece sul tipico schema “estrarre, produrre, utilizzare e gettare”. Il modello economico tradizionale dipende dalla disponibilità di grandi quantità di materiali ed energia facilmente reperibili e a basso prezzo. Visto però che le materie prime e le risorse essenziali per l’economia sono limitate e la popolazione mondiale continua a crescere portando ad aumentare la richiesta di tali risorse finite, la transizione verso un’economia circolare è necessaria. Da non sottovalutare il fatto che i processi di estrazione e utilizzo delle materie prime producono un grande impatto sull’ambiente e aumentano il consumo di energia e le emissioni di anidride carbonica (CO2). Un uso più razionale delle materie prime può sicuramente contribuire a ridurli.

Bioplastiche sostenibili dalla valorizzazione del rifiuto e delle biomasse agroalimentari

Nella prima tavola rotonda dal titolo “La produzione sostenibile di bioplastiche attraverso la valorizzazione del rifiuto e delle biomasse agro-alimentari”, Melissa Balzarotti, Project Manager del Consorzio Italbiotec, ha illustrato un’analisi di mercato “Verso una bioeconomia circolare per la Regione Lombardia” che mappa il potenziale industriale presente in Lombardia per lo sviluppo di nuove filiere bio-based. L’obiettivo è quello di avvicinare il mondo dei produttori, da cui derivano biomasse di scarto, ai trasformatori, sensibilizzando al reimpiego dei rifiuti per la creazione di nuove catene di valore integrate a base biologica e connessioni vincenti tra i settori della chimica, agroalimentare, bioenergetico e dei biocarburanti.

Fabrizio Adani, Professore ordinario presso il DISAA (Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali) dell’Università degli Studi di Milano, che sviluppa ricerca scientifica sui sistemi agricoli, forestali, zootecnici, ambientali ed energetici promuovendo una gestione efficace ed efficiente di sistemi agricoli complessi, ha presentato Rainbow: un progetto ‘green’ della startup innovativa pavese Agromatrici Srl per la produzione di un particolare tipo di plastica rispettosa dell’ambiente, che sfrutta in modo intelligente i rifiuti solidi urbani. Si tratta dei cosiddetti poliidrossalcanoati o PHA, bio-termoplastiche prodotte da fonti rinnovabili e biodegradabili, economicamente ed ecologicamente sostenibili.

Il progetto Rainbow

Versatili negli utilizzi per le loro proprietà simili a quelle della plastica convenzionale, prive degli aspetti inquinanti che caratterizzano queste ultime, costituirebbero una soluzione ideale, tuttavia il loro mercato risulta ancora limitato dai costi di produzione e dalla ridotta ecosostenibilità del processo. Le attività di Rainbow ottimizzano il processo, sia da un punto di vista produttivo che da un punto di vista della sostenibilità ambientale ed economica, integrando l’innovazione produttiva nel sistema di trattamento dei rifiuti solidi urbani lombardo.

Il mercato di riferimento del progetto è l’industria manifatturiera avanzata, in particolare la filiera dei prodotti plastici biodegradabili per applicazioni agronomiche e green-based. La sfida di Rainbow, portata avanti in partenariato con Alan S.r.l. e Università degli Studi di Milano, CNR e Istituto CAT Ronzoni, è la definizione del protocollo di una bioraffineria per la produzione di bioplastiche a partire dalla frazione organica del rifiuto urbano. Nel procedimento di realizzazione sono tenuti in considerazione prodotti da colture no food e da biomasse di scarto con alta valenza in fatto di sostenibilità.

Dal sottoprodotto lattiero-caseario al biopolimero ad oggetti di eco-design sostenibile

Elisa Casaletta, Responsabile R&D Agromatrici, ha descritto i risultati del progetto Pha-Star, finanziato da Regione Lombardia nell’ambito del bando Smart Fashion and Design, riguardante la produzione sostenibile di bioplastiche a partire da sottoprodotti agro-alimentari inutilizzati e proponendosi come possibile modello di innovazione e di applicazione dell’economia circolare al mondo agricolo.

Il siero di latte rappresenta il sottoprodotto principale ottenuto durante il processo di caseificazione, ma solo il 50% di questo è riutilizzato per la produzione della ricotta, integratori alimentari come il concentrato di proteine del siero e mangimi animali. La restante parte deve essere smaltita come rifiuto speciale, rappresentando un costo per i produttori.

Da qui è nata l’idea di Pha-Star di utilizzare il siero del latte quale fonte di carbonio per i batteri produttori di PHA, un biopolimero studiato da una cordata di soggetti: dal gruppo di ricerca Ricicla del Dipartimento di Scienze Agrarie ed Ambientali (DISAA) dell’Università degli Studi di Milano, da Agromatrici, start up della Lomellina impegnata nel recupero delle biomasse e nello sviluppo di soluzioni per la valorizzazione e recupero di scarti e rifiuti e dal Consorzio Italbiotec.

Ripensare la cura del verde in chiave sostenibile

Nell’impianto pilota, situato nella sede di Agromatrici, i ricercatori hanno realizzato bioplastiche biodegradibili con l’utilizzo di microgranuli ottenuti da fermentazione batterica alimentata dal siero di latte, in parte scartato dalla filiera industriale come rifiuto speciale e quindi sottoposto a uno smaltimento particolare e costoso. I PHA purificati sono stati utilizzati per realizzare oggetti di bioplastica nel campo della fioricoltura, progettati e stampati per il giardinaggio, che potranno definirsi privi di plastica proveniente da fonti fossili. È il risultato di una sperimentazione durata due anni e che crea un circolo virtuoso in piena economia circolare.

In anteprima al Convegno, i primi 5 oggetti di eco-design realizzati in PHA e destinati alla cura del verde con l’intervento della designer Antonella Andriani che ha illustrato l’incontro fra le potenzialità del biopolimero messo a punto e il design sostenibile. Kit da giardinaggio (paletta, rastrello e trapiantatore), vanga, annaffiatoio, annaffiatoio per una bottiglia di plastica e fascette usate dagli elettricisti sono il risultato di una filosofia che si è imposta di immaginare prodotti con una valenza simbolica forte, legati alla cura del territorio e per sottolinearne il ciclo virtuoso.

Dall’agricoltura bioplastiche sostenibili anche per i più piccoli

Ha chiuso la tavola rotonda Daniele Radaelli, eKoala Co-Founder, azienda animata dal desiderio di applicare un modello sostenibile sia per l’ambiente che per la salute dei più piccoli, che realizza prodotti innovativi come valida alternativa alla plastica tradizionale. L’obiettivo è stato sostituire plastiche tradizionali con innovative bioplastiche per la realizzazione di prodotti per la prima infanzia. L’intera gamma eKoala deve superare i più severi test di laboratorio che garantiscano l’assenza di sostanze tossiche e che li certifichino 100% sicuri per i bambini.

Una mission di produzione definita da 3 capisaldi:

  • Buono: utilizzare un materiale con basso impatto sull’ambiente nell’ottica di economia circolare;
  • Sano: con materie prime di origine naturale e prive di sostanze tossiche;
  • Bello: Made in Italy è sinonimo di qualità, creatività, artigianalità, passione ed espressione di bellezza.

“Ci siamo lanciati nel mondo delle bioplastiche, sperimentando con Novamont Mater-Bi: una famiglia di bioplastiche completamente biodegradabili e compostabili con cui si realizzano soluzioni e prodotti a basso impatto ambientale nella vita di tutti i giorni. Le componenti essenziali per la produzione di Mater-BI sono amido di mais e oli vegetali non modificati geneticamente e coltivate in Europa con pratiche agricole di tipo tradizionale” ha commentato Radaelli che ha proseguito raccontando “Cinque anni fa abbiamo lanciato la nostra prima linea, guidati dalla costante ricerca di materiali unici e naturali con cui realizzare prodotti ideali per coloro che fanno della parola responsabilità la chiave dei propri acquisti e che antepongono alle loro scelte la volontà di lasciare alle nuove generazioni un mondo migliore.” Anche in questo si può leggere una prospettiva di sviluppo nel segno delle logiche Green Deal.

Buone pratiche e nuovi modelli per lo sviluppo sostenibile dell’innovazione rurale

Nella seconda tavola rotonda “Modelli per lo sviluppo dell’innovazione rurale” sono intervenuti i protagonisti di alcuni distretti agricoli:

– DAM – Distretto agricolo milanese;

– DINAMO – Distretto neorurale delle tre acque di Milano;

– DAVO – Distretto agricolo della Valle Olona;

– DAMA – Distretto agricolo Adda Martesana; RISO e RANE – Distretto rurale Riso e Rane

dell’area metropolitana di Milano che hanno presentato modelli e buone pratiche per lo sviluppo sostenibile dell’innovazione rurale.

L’opportunità di nascita di nuove value chains mira a catturare l’attenzione dei Distretti Agricoli coinvolti nel progetto RUMORE (Rural-Urban Partnerships Motivating Regional Economies), fornendo modelli per la valorizzazione dei rifiuti e sottoprodotti agro-alimentari, che ad oggi rappresentano un costo di smaltimento per i produttori e consentendo la diversificazione della produzione e la nascita di nuove filiere produttive.

RUMORE migliora le politiche e le capacità di innovazione regionale promuovendo la cooperazione e i partenariati rurale-urbani. Integrando i potenziali delle aree rurali e urbane nelle strategie di specializzazione intelligente, RUMORE facilita una migliore attuazione di queste strategie e delle politiche dei cluster delle regioni partecipanti. Di conseguenza, il progetto rafforza la capacità di innovazione delle regioni, sostiene il loro sviluppo sostenibile e contribuisce alla coesione territoriale.

Lo stato dell’economia circolare in Italia

Purtroppo, alla ripresa economica del 2021 è corrisposto un incremento analogo nel consumo di risorse che si è protratto nel 2022 allontanando, a livello globale, dall’obiettivo di disaccoppiare la crescita economica dal consumo di risorse. Questo nonostante gli allarmi che attorniano i temi del cambiamento climatico, della scarsità di acqua, della perdita di biodiversità.

Come rileva la quinta edizione (2023) del Rapporto sull’Economia Circolare in Italia, curato dal Circular Economy Network in collaborazione con Enea (per consultare la versione integrale, puoi farlo QUI), l’Italia si mantiene in una posizione di vantaggio rispetto ai suoi concorrenti europei, posizionandosi al vertice della classifica delle cinque principali economie europee. Tuttavia, ha perso posizioni negli ultimi cinque anni, mentre la Spagna segue a ruota e sta tenendo un ritmo di cambiamento più veloce. Nello specifico, si segnala un peggioramento su alcuni indicatori chiave come il tasso di uso circolare della materia e la produttività delle risorse.

Il tasso di utilizzo circolare dei materiali in Italia è al 18,4%, resta più alto della media UE (11,7%) nel 2021, ma eravamo al 20,6% nel 2020 e al 19,5% nel 2019. Per la produttività delle risorse siamo, assieme alla Francia, davanti alle altre principali economie europee con 3,2 euro generati per ogni kg di materiale consumato e anche nella percentuale di riciclo sul totale dei rifiuti prodotti, speciali e urbani, siamo in testa con il 72%.

Quest’anno il rapporto è stato accompagnato da un’indagine Legacoop-Ipsos sugli stili di consumo. Tra i dati più interessanti è emerso che il 45% degli intervistati che negli ultimi 3 anni ha acquistato un prodotto usato; il 36% un prodotto rigenerato o ricondizionato. La sharing economy, infine, piace ai giovani. Nella fascia di età 18-30 anni emerge infatti una predilezione per leasing, noleggio o soluzioni in condivisione.

Perché investire nell’economia circolare

Il messaggio fondamentale che emerge riguarda la necessità di accelerare la transizione all’economia circolare perché anzitutto si contribuisce a migliorare le condizioni del Pianeta, salvaguardando insostituibili ecosistemi fondamentali per la vita: l’estrazione di materiale vergine potrebbe diminuire di oltre un terzo (-34%) e le emissioni di gas serra potrebbero essere ridotte contenendo l’aumento della temperatura globale entro i 2°C. Ma ci sarebbero anche consistenti benefici economici. A partire da un importante contributo alla lotta contro l’inflazione che viene alimentata dai rincari del costo dei materiali e dell’energia: le strategie mirate al recupero di materia ed energia hanno un
evidente effetto deflattivo.

In particolare, il Circular Economy Network chiede di rispettare il cronoprogramma di attuazione della Strategia nazionale per l’economia circolare, recepire tempestivamente le misure europee, rafforzare il sostegno alle imprese, prevedere misure di fiscalità ecologica nella legge delega. È necessario inoltre sviluppare l’economia circolare delle materie prime critiche, garantire la realizzazione degli impianti previsti dal PNRR, accelerare i tempi di realizzazione degli impianti di riciclo e dei ‘progetti faro’ già finanziati, per colmare il gap tra Centro-Sud e Nord e garantire un’adeguata dotazione impiantistica.

Sui rifiuti è essenziale dare piena attuazione al Programma nazionale di gestione dei rifiuti, aggiornare entro fine anno i Piani regionali per raggiungere gli obiettivi di riciclo e riduzione dello smaltimento in discarica previsti dalle direttive UE, accelerare e semplificare le normative sull’End of Waste, sviluppare la simbiosi industriale, nonché adottare il programma nazionale di prevenzione dei rifiuti.

ENEA si sofferma invece sul dato che vede l’Italia importare oltre il 99% delle materie prime critiche, mostrando una dipendenza dall’estero ancora più drammatica di quella europea. Le materie prime critiche sono fondamentali per le filiere hi-tech più legate alla transizione energetica, circolare, digitale e alla qualità della vita in generale. A seguito delle emergenze degli ultimi anni, la richiesta di materie prime a livello globale si è bruscamente impennata, così come il loro prezzo, determinando un aumento del rischio di approvvigionamento con conseguente impatto negativo sulla competitività delle nostre filiere produttive, che rappresentano oltre il 30% del PIL nazionale. Per un Paese come l’Italia, decisamente più povero di materie prime rispetto ai principali competitor, è ineludibile puntare sulla circolarità, dall’eco-design dei prodotti al recupero e riciclo, sfruttando le miniere urbane, che sono la fonte potenziale di materie prime critiche più prontamente accessibile.

Edizione 2024 del Rapporto sull’economia circolare in Italia

Il rapporto annuale del Circular Economy Network, in collaborazione con Enea, offre una dettagliata panoramica dello stato attuale dell’economia circolare in Italia. L’edizione 2024 (disponibile per la consultazione QUI), per la prima volta, confronta le prestazioni di circolarità delle cinque principali economie dell’Unione Europea utilizzando gli indicatori della Commissione europea: produzione e consumo, gestione dei rifiuti, materie prime seconde, competitività e innovazione, sostenibilità ecologica e resilienza. Anche con questa nuova metodologia, l’Italia mantiene il primato dell’economia circolare con un punteggio di 45, seguita da Germania (38), Francia (30), Polonia e Spagna (26).

L’Italia si distingue in modo particolare per il tasso di riciclo dei rifiuti. Nel 2021, il Belpaese ha raggiunto un tasso di riciclo dei rifiuti di imballaggio del 71,7%, superando dell’8% la media UE27 (64%). Inoltre, tra il 2017 e il 2022, il riciclo dei rifiuti urbani in Italia è cresciuto del 3,4%, arrivando al 49,2%, leggermente sopra la media UE del 48,6%, anche se inferiore alla Germania che primeggia con il 69,1%. Nel 2022, la produttività delle risorse in Italia ha prodotto 3,7 euro di PIL per ogni chilo di risorse consumate, con un incremento del 2,7% rispetto al 2018, mentre la media UE è di 2,5 euro/kg nello stesso anno.

Per quanto riguarda il tasso di utilizzo circolare di materia, cioè il rapporto tra l’uso di materie prime seconde generate col riciclo e il consumo complessivo di materiali, l’Italia ha mantenuto nel 2022 la stessa posizione del precedente anno, registrando un valore del 18,7%. Tuttavia, non è tutto rose e fiori. Nel 2022, il consumo di materiali in Italia è stato di 12,8 tonnellate per abitante, inferiore alla media europea di 14,9 t/ab, ma in aumento dell’8,5% rispetto alle 11,8 t/ab del 2018. Inoltre, la dipendenza dell’Italia dalle importazioni di materiali (46,8%) è più del doppio della media europea (22,4%), anche se in calo del 3,8% rispetto al 2018.

Il focus sulle PMI

Quest’anno, un focus particolare è stato dedicato alle piccole e medie imprese che, specie nel tessuto produttivo italiano, hanno un ruolo di particolare rilievo. Un’indagine condotta tra dicembre 2023 e gennaio 2024, in collaborazione con CNA, ha coinvolto 800 piccoli imprenditori per sondare le loro opinioni e azioni riguardo alle politiche green.

Il 65% delle piccole imprese intervistate ha dichiarato di adottare pratiche di economia circolare, più del doppio rispetto al 2021. Inoltre, il 10% delle imprese prevede di avvicinarsi all’economia circolare nel prossimo futuro. Gli interventi più comuni riguardano l’uso di materiali riciclati (68,2%), la riduzione degli imballaggi (64%) e interventi per migliorare la durabilità e la riparabilità dei prodotti (53,2%).

Interrogati sui principali benefici legati all’implementazione di strategie di economia circolare, il 70,4% degli intervistati evidenzia la maggiore sostenibilità ambientale dell’impresa come principale vantaggio. Seguono, con una differenza di quasi dieci punti percentuali, il 61% degli imprenditori che considera l’economia circolare un elemento capace di aumentare i margini di profitto attraverso la riduzione dei costi di produzione, grazie all’adozione di misure come l’uso di materiali riciclati, la riduzione dei rifiuti, il riciclo degli imballaggi, il riutilizzo degli scarti aziendali e l’autoproduzione di energia rinnovabile. Ciò evidenzia un crescente apprezzamento per il tema ambientale, che sta diventando strategico nelle decisioni aziendali, al pari di altri fattori tradizionalmente importanti come i costi.


Nonostante l’incremento delle iniziative di economia circolare a livello europeo e nazionale negli ultimi anni, diversi fattori continuano a frenare la loro adozione da parte delle imprese. Tra gli ostacoli emersi dal questionario, cinque sono stati segnalati da oltre la metà degli intervistati. I più frequentemente citati riguardano il contesto operativo delle aziende e includono una burocrazia troppo complessa (67,5%), problema particolarmente sentito dalle piccole imprese, la carenza di strutture di supporto per facilitarne la diffusione (67,4%) e la mancanza di incentivi e agevolazioni (66,5%). Tra gli ostacoli anche la complessità dei cambiamenti che andrebbero apportati ai processi di produzione e ai prodotti stessi (52,4%), insieme al costo eccessivo degli investimenti da realizzare (57,0%).

Misurare e comunicare la sostenibilità

Nonostante l’interesse crescente per l’economia circolare, solo l’8,5% delle aziende che hanno intrapreso iniziative in tal senso si è dotato di metodologie e indicatori per misurare l’effettiva sostenibilità dei loro processi produttivi e/o dei loro prodotti e servizi. Questo dato è in linea con quello rilevato nella precedente indagine del 2021.

La scarsa adozione di indicatori per la misurazione della circolarità non sembra derivare da un disinteresse o una mancanza di volontà (il 53,6% delle aziende si dichiara infatti interessato a implementarli), ma piuttosto da difficoltà oggettive. In particolare, gli intervistati segnalano che gli indicatori spesso non sono calibrati per le piccole imprese, risultando quindi di difficile applicazione (43,5%). Inoltre, il 42% degli imprenditori attribuisce la mancata adozione di indicatori alla limitata conoscenza di questi strumenti, mentre il 33,7% segnala l’eccessiva complessità e i costi legati alla loro implementazione.

Queste risposte indicano una grande difficoltà per le piccole imprese nell’approcciarsi a tali strumenti, considerati troppo complessi e non adatti alle loro caratteristiche. Questa situazione è preoccupante, poiché la mancanza di indicatori rende difficile misurare i risultati delle azioni di economia circolare intraprese e non facilita la valorizzazione, anche in termini di comunicazione, delle performance ambientali e delle pratiche virtuose delle piccole imprese.

La situazione riguardante la comunicazione dei risultati raggiunti è particolarmente critica se si considera che solo il 36,4% delle aziende che hanno partecipato all’indagine ha adottato strategie di informazione dedicate al tema dell’economia circolare, indipendentemente dall’uso o meno degli indicatori.

Le difficoltà nel misurare e comunicare le proprie performance di sostenibilità rappresentano un gap particolarmente significativo, poiché questa capacità diventerà sempre più un fattore strategico per mantenere la competitività, specialmente in alcune filiere, e nei rapporti con il sistema bancario e il settore pubblico.

Le misure necessarie per superare gli ostacoli che rallentano la transizione verso l’economia circolare sono molteplici e di varia natura. Le piccole imprese, in particolare, evidenziano l‘importanza del sostegno agli investimenti (dimostrando che la conversione all’economia circolare è spesso onerosa e richiede cambiamenti strutturali nei processi produttivi), lo sviluppo di mercati orientati verso l’acquisto di beni sostenibili (suggerendo che la circolarità deve coinvolgere anche i consumi), la semplificazione delle normative (che attualmente non favoriscono la transizione alla circolarità) e, non meno importante, un’offerta formativa adeguata alle esigenze delle imprese.

Tra le numerose azioni necessarie per rendere il sistema produttivo sempre più circolare e sostenibile, va inclusa anche l’efficacia delle campagne informative su scala nazionale ed europea. Questa necessità è motivata dal fatto che la conoscenza delle direttive europee relative all’economia circolare è molto limitata. Ad eccezione del regolamento sugli imballaggi, noto al 70,1% delle imprese intervistate grazie all’attenzione politica e mediatica, le aziende denunciano una scarsa conoscenza degli altri regolamenti europei, sia quelli già approvati che quelli in discussione.

Articolo aggiornato al 23 agosto 2024

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